Giornalismo partecipativo in Italia, utopia o realtà?

Il giornalismo partecipativo o collaborativo è fatto dai cittadini. Il primo sito di giornalismo partecipativo nasce nel 2000 nel Sud est asiatico, per la precisione in Corea. Stiamo parlando di un portale che in pochissimi anni è diventato il principale sito, nel quale i cittadini sud coreani attingono per informarsi e che può vantare ad oggi la collaborazione di circa 35mila cittadini reporter a fronte di una redazione di appena 35 giornalisti. Anche negli Stati Uniti sono nati diversi portali che si sono poi rivelati un ottimo trampolino di lancio per giornalisti free lance. L’evento che ha fatto scoprire ai grandi giornali il giornalismo partecipativo fu l’attentato terroristico nella metropolitana di Londra avvenuto nel 2005. La BBC trasmise nei suoi notiziari un’immagine ripresa con un cellulare da un non professionista che si trovava dentro la metro. Lo scatto divenne l’immagine-simbolo del drammatico evento.

Nel 2010 il Premio Pulitzer, uno dei premi giornalistici più prestigiosi al mondo, è stato assegnato ad un’organizzazione no-profit con sede a New York dove a finanziare le inchieste non è la pubblicità nè gli editori, ma appunto i cittadini stessi. Vi sono anche TV  ove gli utenti che sognano di diventare giornalisti hanno la possibilità di inviare i loro reportage e, se selezionati, andare in onda con i loro servizi giornalistici sul canale televisivo ufficiale. L’Italia è un fanalino di coda, poiché il giornalismo partecipativo non è ancora decollato efficacemente, salvo alcune sporadiche realtà.

Ma la parola “partecipativo” cosa vuol dire nell’ambito dell’informazione ? Esso viene associato alla condivisione, in una grande rete di lettori-autori, estranei ai rituali di cooptazione e alle logiche commerciali.

Il meccanismo del giornalismo partecipativo sorge anche dal fatto che non vi sono dietro i grandi gruppi economici e sponsor, quest’ultimi sono coloro che decidono quale notizia è appetibile e cosa garantisce i loro investimenti. D’altronde in Italia abbiamo il libero mercato dell’opportunismo a muovere il mondo dell’informazione, dove la notizia è una merce, il cui costo annuo varia grazie alla legge dell’editoria. Il cittadino è divenuto oggi mediattivo cioé non considera l’informazione una merce come un’altra, ma la colloca nella categoria dei beni comuni.

Quando entro su Internet nel 1994, molti ridevano per l’assurda scelta; poi nel tempo questi si sono ricreduti e ciò significo per noi reporters giornalisti freelance una vittoria, in quanto la Rete è divenuta un fenomeno commerciale e professionale imprescindibile per tutti, che ha generato enormi investimenti. Gli utenti, a differenza di quanto continuano a pensare i grandi gruppi mediatici ed economici, non sono controllabili ed hanno il potere di scegliere sullo schermo ciò che desiderano leggere e vedere. Adesso questi utenti desiderano partecipare, condividere, collaborare.

Ovviamente bisogna però parlare di regole e deontologia, poiché se il giornalismo partecipativo aiuta ad avere in tempo reale, essa deve avere ed essere comunque regolarizzata, poiché non è possibile vedere foto e video raccapriccianti o testi scritti senza un minimo di lessico italiano. Quindi bisogna avere il buon senso di evitare l’impatto brutale di ciò che vorremmo pubblicare, per questo è necessario valutare il contenuto ricevuto dall’utente e, se poi ritenuto utile, pubblicarlo. Questo potrebbe non essere in linea con chi vuole pubblicare ciò che vede e quindi documentarlo subito, on line…ma tale soggetto si rende conto che su Internet gli utenti possono anche non essere adulti o sono soggetti sensibili psicologicamente ? Il giornalismo partecipativo dovrebbe evitare il narcisismo digitale, quello dello scoop ad ogni costo.

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