Giornalisti, equo compenso e riforma elenco pubblicisti

Centinaia di testate giornalistiche, molte di queste ricevono contributi dalla legge dell’editoria, pagano i collaboratori una miseria, come è emerso dalla ricerca «Smascheriamo gli editori» realizzata dal segretario del consiglio nazionale dell’Odg Enzo Iacopino. Le cifre che si leggono lo sanno ormai tutti, ma ricordiamone alcune tanto per capire in che situazione siamo:  Un quotidiano XX riceve 16 milioni di euro di soldi pubblici, paga un pezzo di 5-6mila battute soltanto 30 euro lordi (nel 2009 il compenso era di 50 euro); un’altro quotidiano arriva a un massimo di 27 euro per gli articoli più lunghi, a fronte di un finanziamento statale di circa 1 milione e mezzo di euro. Nella “lista nera” c’è anche un diffuso quotidiano nel nord-est, con una tiratura di circa 100mila copie: i compensi sono di 4 euro per un pezzo che non supera le mille battute, 9,50 euro fino a duemila, 15 euro fino a tremila e 19 euro se si va oltre. Da segnalare anche gran parte dei giornali locali: il caso più eclatante è quello con i suoi 2,50 euro lordi ad articolo, nonostante un finanziamento statale di oltre 2 milioni e mezzo di euro. Un articolo non si può pagare 2,50 né 342 Euro. Nel primo caso è ovviamente troppo basso, nel secondo è esoso e ci sono giornali, in particolare modo gli indipendenti, che non si possono permettere di pagare cifre di quel tipo. Tutto questo inficia sulla qualità degli articoli, non per colpa di chi li redige, ma perché non sono pagati e, quindi, la qualità si riduce ad una cronaca spicciola e meno investigativa; d’altronde la legge dell’editoria serve proprio per questo: non far scrivere, non dire ciò che è la realtà. In poche parole: non rompere i marroni. Oppure scrivere articoli pilotati dal politico XX contro un altro o dal partito KK, ed ecco uscire sotto forma di inchieste giornalistiche le varie intercettazioni o le magagne di tizio o caio. Alla fine questo non si può considerare giornalismo libero, ma condizionato.

Chi può scrivere la realtà dei fatti ? Sono pochi che si possono permettere di far uscire articoli di cronaca, i quali hanno il vero sapore del giornalismo. A questa situazione diversi editori, direttori e singoli capi redattori dormono sogni tranquilli protetta dall’articolo 1 del contratto di , quindi al riparo da licenziamenti e sicuri di ricevere alla fine del mese un ottimo stipendio, non temono neanche le valutazioni inerenti all’efficienza e alla qualità del loro .

All’estero però questa tipologia di stampa italiana non viene considerata professionale e, questo, da una parte lascia perplessi, ma dall’altra è comprensibile vista la situazione. Pensate che i residenti all’estero e tra i colleghi esteri, c’è chi, per sapere le notizie, consulta agenzie stampa note di altri paesi o gli indipendenti sui vari blog o nei più diffusi.

Dalla carta e la TV, si passa al web ove il problema dell’equo compenso è alla indecenza vera e propria: un articolo viene pagato 1 o 2 euro e c’è chi poi si vanta di pagare 40 Euro lordi, come se fosse una cifra equa. Secondo diversi colleghi è preferibile non prendere stagisti o giornalisti freelance, ma arrangiarsi dedicandosi a settori tematici.

Un’altro problema è l’elenco dei pubblicisti: non va bene trovarsi come concorrente uno che ha già come stipendio primario quello dell’Istituzione XX o della professione KK. E badate bene non parliamo di caccia alle streghe o diritti acquisiti che, di fronte alle legge sono più che validi; noi parliamo di coloro che sono freelance e di quelli che conducono testate indipendenti, ove né l’Ordine dei Giornalisti né il sindacato hanno mai contattato per dare il loro supporto. Noi, come emmegipress, siamo un esempio.

Fare il è una professione, non deve essere considerata un hobby o dal quale ricavare un secondo stipendio, se esso proviene da un’altra professione o istituzione dal quale hai già un mensile sicuro.

Il pubblicista giornalista dovrebbe essere il freelance il quale ricava il suo secondo stipendio attinente alla medesima professione, come ad esempio fare l’ufficio stampa.

Nel contempo però quello che si sente e si legge lascia perplessi: sembra che migliaia di pubblicisti, i quali svolgono attività prevalentemente professionale da dieci, 15 o più anni, rischiano di essere obbligati nel fare l’esame, come se questo possa riconoscere il loro status e li aiuterebbe a migliorare la attuale condizione.

Concludendo, il tariffario del 2007, oggi non è più proponibile. Nel contempo però o si abolisce la legge dell’editoria e si lascia ai lettori decidere cosa acquistare e quale testata premiare, oppure ci sarà un’altra battaglia su chi deve prendere questi contributi poiché attualmente non va bene come viene gestita la situazione, ove troviamo giornaletti che alcuno sa della loro esistenza, i quali comunque ricevono soldi!

E’ giunta l’ora dell’equità per tutti coloro che ne hanno diritto e sono meritevoli.

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