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Il settore è molto appetitoso, ove ad esempio, non esiste un vero e proprio mercato valutario delle biciclette usate. I negozianti calcolano il valore del prodotto (bici) sull’usura del mezzo, ma applicando l’IVA per ogni anno che trascorre, dal momento in cui il prodotto viene acquistato dal consumatore. Un metodo che, per molti ciclisti, è piuttosto bislacco se paragonato all’usato auto con regolamentazioni ben più precise.
Un business che parte dalla “voglia” di avere l’ultimo prodotto su strada, l’abbigliamento più trend, con un marketing delle aziende che è improntato spesso nei lustrini piuttosto che nella concretezza.
Ci sono prodotti che non durano una stagione, altri si rompono dopo poche uscite in bici o si sfilacciano come se fossero usati da anni.
Pensiamo poi alle gare professionali che, da sole movimentano svariati milioni di euro, per esempio il Tour de France fattura 150 milioni di euro l’anno solo di sponsorizzazioni per un indotto complessivo di un miliardo circa, il Giro d’Italia muove “solo” 500 milioni di euro, da questo però non c’è paragone per le gare locali, ma il business esiste ed è concreto per l’indotto economico che i ciclisti movimentano ogni anno.
Fine prima parte