Media e democrazia, Diritto di accesso alla informazione?

Nella Costituzione quando ci si trova a dover discutere di diritto all’informazione oppure di libertà, si è portati a pensare, in maniera del tutto naturale, proprio alla disposizione di cui all’art. 21. Alcuni giuristi dicono che, nel nostro testo costituzionale, non vi è alcuna disposizione la quale parli dell’esistenza di un diritto dei singoli (rectius: dei cittadini) di informarsi, liberamente, da qualsiasi fonte e senza ostacoli. Quindi la Costituzione non ha un articolo che prevede la tutela del diritto di informarsi. Solo l’art. 21 contiene alcuni elementi relativi alla tematica dell’informazione.

In pratica si tratta della disciplina relativa alla sola libertà di informare o, per meglio dire, alla sola libertà di manifestare ed esprimere il proprio pensiero (libertà di in senso lato).

Quella sancita dall’art. 21 è, in realtà, una libertà di derivazione ottocentesca, connotata da un forte significato simbolico ed ideologico. La circolarità delle notizie era alquanto elitaria; la realtà in cui oggi viviamo è profondamente diversa e si presenta molto più complessa di quella fin’ora descritta. Si tratta di appurare, quindi, se il singolo sia effettivamente libero di informarsi, superando manipolazioni, impedimenti ed ostacoli, e, se la risposta è positiva, qual’è principalmente il fondamento e l’ampiezza di questa libertà. In questo caso le fonti selezionano, anche se in modo gratuito (edicole on line comprese, anche se soltanto in link), diventano un enigma; il fatto è che questi aggregatori di notizie veicolano ciò che interessa all’utente, oppure fanno una scelta ritenendo giusta la fonte alla quale dare visibilità? In questo caso all’utente gli viene lasciata la libera scelta di informarsi sulla fonte ?

Una possibile soluzione potrebbe essere quella nel inserire le testate regolarmente registrate presso un tribunale italiano, esistenti almeno da un tempo tale che dimostrano qualità e affidabilità nei contenuti ? A chi legge la propria opinione.

Gli aggregatori di notizie o di fonti. L’utente (lettore), per poter scegliere, deve esser messo in necessaria condizione di conoscere. Se qualcuno, prima di lui, sceglie cosa deve leggere o non consultare, di fatto è uno ostacolo alla libertà di scelta. La Costituzione Italiana riconosce e attribuisce una libertà di scelta, garantisce nel contempo il diritto di sapere quanto occorra per scegliere (se una scelta costituisce esercizio di una libertà costituzionale, essa comprende anche il diritto di acquisire tutte quelle notizie o informazioni necessarie alla scelta stessa). L’informazione, intesa come libertà di acquisire senza ostacoli indispensabili conoscenze, è lo strumento necessario per realizzarli. A conferma di quanto esposto è sufficiente prendere in considerazione ed analizzare l’insieme dei principi affermati negli artt. 1,2,3,4 e 9 (ossia democrazia, sovranità, sviluppo della persona umana, uguaglianza, diritto al , sviluppo della cultura).[1]

Una quindicina d’anni fa si parlò molto (anche l’Istituto Gramsci si dedicò a questa ricerca) di modificare l’art. 21 della Costituzione, specificando che il diritto alla libertà di stampa, e quindi alla libertà d’informazione, non significava soltanto il diritto di informare ma anche quello di essere informati. Al centro non era più l’operatore della informazione e la sua tutela dagli arbitrii, ma il cittadino che ha diritti propri, attivi, e non solo un soggetto passivo, un ricevente. Una forma se non di soggetto passivo, di ricevente.

Il principio illuministico settecentesco, quello della dichiarazione dei diritti sui due versanti dell’oceano, la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese, fino alla Costituzione italiana del 1948, tutti incorporano dentro di sé un’idea secondo la quale il diffondersi più largo della comunicazione ha di per sé natura progressiva. Il quadro di una netta distinzione dei poteri fra stampa e classe è sostanzialmente una rappresentazione oleografica rispetto ad una realtà, che ancor prima dell’avvento della società dell’informazione, è stata piuttosto una società del balance of power.

Vorrei ricordare, fra questi vari fronti, uno di cui non sempre si parla, quello delle agenzie di stampa, esse nascono da un compromesso basato sul fatto che senza i fondi della Presidenza del Consiglio un’agenzia nazionale non si fa. Quindi complessivamente le agenzie, cioè il principale mezzo di rifornimento dei giornali in un’epoca precedente alla rivoluzione digitale, erano governate da un compromesso fra le due proprietà: pubblica e privata.  Si può giudicare in vario modo, al limite perfino favorevolmente, questa situazione; tuttavia comunque la si giudichi essa disegna un quadro molto diverso dalle affermazioni ideologiche sulla libertà di stampa. Il fatto curioso è proprio che tutti, in maniera convinta, sostanzialmente erano compartecipi di un’ideologia della libertà di stampa molto attraente e democratica, che però non aveva molto riferimento con quello che accadeva veramente.[2]

Chiudo questo articolo con una frase di Denis McQuail: “Nella società dell’informazione viene a formarsi una sempre maggiore dipendenza dall’informazione e dalla comunicazione da parte degli individui e delle istituzioni; dipendenza divenuta necessaria al fine di potere operare efficacemente in quasi tutte le sfere di attività”.

.’.

Note
Testi estrapolati dai seguenti documenti:
[1] “La tutela costituzionale del diritto all’informazione”.
[2] “Per un’etica del rapporto tra comunicazione e politica”.

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