Parlamento europeo, I disastri della coltivazione dell’olio di palma
Parlamento europeo, I disastri della coltivazione dell’olio di palma

Parlamento europeo, I disastri della coltivazione dell’olio di palma

I principali Paesi produttori che hanno sacrificato il loro a questa monocultura devastatrice è l’Europa, che ne e’ il secondo piu’ grande importatore con 7 milioni di tonnellate all’anno.

L’agricoltura industriale e’ responsabile del 73% della deforestazione mondiale, ben lungi dalla gestione dei boschi, che sia legale o meno. Ma la conversione delle terre in piantagioni di palme da olio e’ la sola all’origine del 40% delle perdite delle foreste naturali intorno al Pianeta, riducendo all’osso il territorio di vita di numerose specie, in modo particolare in Asia e in Latina. Ben lontano dagli occhi dei consumatori occidentali.

Nel 2008, l’Unione europea pubblico’ una comunicazione che riconosceva che essa aveva un ruolo in questa deforestazione. Essa prometteva allora un futuro piano per rimediarvi. Ma dopo circa dieci anni, il dossier non e’ andato avanti. Anche il Parlamento si era a sua volta interessato al problema con questo rapporto sull’olio di palma. Non era un testo vincolante la Commissione europea, ma era difficile difficile ignorare la volonta’ dei deputati.

Nella meta’ dei prodotti imballati
La commissione ENVI sull’ambiente, la sanita’ pubblica e la che ha redatto questo rapporto, l’ha adottato alla quasi unanimita’ (56 voti contro 1) lo scorso 9 marzo. I suoi membri si sono focalizzati su questa materia prima utilizzata da poco piu’ di trenta anni, che e’ oggi presente in circa la meta’ dei prodotti imballati: margarina, chips, creme da spalmare, biscotti, cosmetici, detergenti…

E la sua quota continua a crescere nella produzione di biodiesel. Secondo i deputati europei, la fabbricazione di biocarburanti assorbe il 60% dell’olio di palma consumato in nel 2014 (sei volte piu’ che nel 2010), il 46% del quale per il settore dei trasporti. Da qui al 2020, piu’ di mezzo milioni di ettari in piu’ di foreste dell’Asia del sud-est dovrebbero essere ancora eliminate per il diesel all’olio di palma. Le isole indonesiane di Borneo e Sumatra hanno conosciuto “la deforestazione piu’ rapida della storia dell’umanita’”, scrivono i deputati. Questa espansione provoca regolarmente la diffusione di incendi che espongono “69 milioni di persone all’aria inquinata e sono responsabili di migliaia di morti premature”.

I parlamentari ricordano anche le promesse della , della Danimarca, della Francia, dei Paesi bassi, del Regno Unito di andare verso il 100% di olio di palma durevole entro il 2020, cioe’ proveniente da piantagioni che non sono a discapito di torbiere e foreste primarie, ne’ fonte di conflitto con le popolazioni locali, e che non facciano lavorare bambini. A carico di c’e’ da cominciare a riflettere su una certificazione obbligatoria che, a termine, sbarri la strada dei mercati europei ai “deforestatori”.

Sforzi preventivi
Sette Paesi produttori hanno reagito preventivamente, insistendo sui propri sforzi reciproci per moralizzare il settore e sulle leve che possono costituire questa monocoltura si’ da far uscire regioni intere dalla loro poverta’. Un movimento sembra avviato. “Non possiamo ignorare il problema della deforestazione che minaccia l’accordo sul concluso alla COP21, ne’ gli obiettivi delle Nazioni Unite per lo sviluppo durevole”, dice Katerina Konecna, deputata ceca (Sinistra unitaria europea), membro della commissione ENVI.
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Pressione degli eletti, dei consumatori e delle ONG: le imprese sanno che i tempi le spingono al cambiamento. Ma come vantarsi di non utilizzare se non raccolti di norme durevoli, senza conoscere l’insieme della propria catena di approvvigionamento? E come controllare gli innumerevoli piccoli produttori di Indonesia e Malesia, due Paesi che forniscono insieme piu’ del 90% dell’olio di palma mondiale?

Immagini satellitari e radar
“Oggi, siamo in grado di dire al 91% da dove proviene il nostro olio quando esce dai frantoi e al 47% dalle piantagioni che alimentiamo assicurando che le stesse rispettino i nostri impegni, dichiara Jean-Manuel Buet, direttore dello sviluppo durevole della Nestle’-Francia. Dopo bisogna poter dimostrare cio’ che dite”. Il gruppo inaugura ad aprile un nuovo strumento di sorveglianza, Starling, gia ‘sperimentato da diversi mesi. Questo servizio permette di rilevare le trasformazioni delle zone naturali a partire da analisi di combinazioni di immagini satellitari e radar. Esso utilizza la di Airbus e di Sarvision, una emanazione dell’Universita’ di Wageningen nei Paesi Bassi.

“Abbiamo immagini registrate da trenta anni e siamo ormai in grado di individuare uno specifico territorio che ha perso 18 ettari di foresta densa in dieci mesi, per esempio”, dice Patrick Houdry, responsabile delle soluzioni foresta e agricoltura presso Airbus. Se da’ soddisfazione questo modello di controllo –il cui costo non e’ reso noto- potrebbe essere esteso da Nestle’ ad altre materia prime.

“Per ottenere un’etichetta di agricoltura durevole, bisogna fare delle revisioni, inviare degli indagatori sul terreno. Questo diventa caro, in finanziamento come in carbone, dice Bluet. E gli indagatori non possono verificare tutto. Starling permette di reindirizzare rapidamente la situazione, e questo e’ meglio che non aspettare che Greepeace individui il problema…”.

E’ a seguito di una campagna della ONG in merito che Nestle’ si e’ impegnata nel 2010 a mettere fine ad ogni deforestazione, facendosi guidare da un’altra ONG operativa, basata in , The Forest Trust, per ripensare le sue relazioni con i fornitori.
“Bisogna far presto”

“L’iniziativa Starling e’ interessante -dice oggi Greenpeace. Si va sempre di piu’ verso il controllo cartografico in tempi reali, questo puo’ essere un aiuto maggiore nella lotta contro la deforestazione, dice Clément Sénéchal, incaricato della campagna da parte della ONG. Ma questo non basta: bisognera’ sempre andare sul posto per rendersi conto di cio’ che accade. Noi ci interroghiamo anche sul livello di accessibilita’ di queste immagini”.

Per ora, Jean-Manuel Blet presenta un esempio di una serie in immagini cartografate con molte ombreggiature di verde: si tratta di una concessione di 7.000 Kmq ad ovest della Malesia. Nestle’-Francia vi ha quattro fornitori maggiori che rispondono all’80% dei bisogni dell’olio di palma -cioe’ appena il 4% degli acquisti del gruppo. Essa assicura che la sua societa’ ha incontrato tutti i grossi industriali che acquistano l’olio, del caucciu’, della soia o della pasta di cellulosa nella regione. “Ci dobbiamo presentare insieme se vogliamo essere credibili agli occhi del governo malese”, dice.

Lo stesso per i fornitori perche’ rispettino gli impegni dei loro clienti, a rischio di perderli nel caso contrario.

“Ma la vera questione, e’ che bisogna procedere veloci”, dice Bluet. Solo il 18% delle foreste tropicali di qualita’ sono sopravvissute alla rivoluzione dell’olo di palma in questa regione della Malesia. Altrimenti detto: non ci sono piu’ grandi cose da preservare.

(articolo di Martine Valo, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 3 Aprile 2017)

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