Da dove vengono i prodotti falsificati? Chi li produce? Da dove passano nel loro tragitto fino al destinatario finale? A queste domande cerca di dare risposta uno studio elaborato dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e dall’Ufficio per la proprieta’ intellettuale dell’Ue (EUIPO) che viene pubblicato oggi. Secondo le conclusioni dello studio, la
Lo studio richiama l’attenzione sulla crescente importanza degli invii postali e del commercio elettronico nella filiera di mercato delle falsificazioni. E vuole dare una nuova svolta dopo quanto pubblicato lo scorso anno da entrambi gli organismi per analizzare l’impatto economico del traffico di falsificazioni e prodotti piratati. Questo studio, i cui sono stati utilizzati i dati raccolti dalle dogane di tutto il mondo, concludeva col fatto che il commercio dei prodotti falsi era cresciuto nel 2013 a 461.000 milioni di dollari (413.500 milioni di euro), equivalente al 2,5% del commercio totale globale. Nel caso dell’UE, la percentuale arriva al 5%.
Nello studio attuale, i due organismi selezionano una gamma di prodotti piu’ falsificati e piratati, distribuendoli in 10 categorie, che rappresentano il 63% del valore totale delle falsificazioni: prodotti alimentari, farmaceutici, profumeria e cosmetici, pelletteria e borse, indumenti e tessuti, calzature, gioielleria, apparecchiature elettriche ed elettroniche, dispositivi ottici, fotografici,
Con questo metodo, gli autori concludono che la
La
In quanto ai punti di transito, una semplice visione della mappa allegata da’ idea da dove si muovono i prodotti falsificati.
Di base, si producono in Asia (Cina,
Alcuni di questi Paesi hanno “governi deboli e con forte presenza del crimine organizzato”. Questi punti di transito sono essenziali per nascondere l’origine illegale dei prodotti perche’ in essi, oltre ad essere autentici centri di distribuzione illegale, sono anche i luoghi in cui avvengono falsificazioni di documenti, cambi di etichette, riconfezionamento o ridistribuzione in contenitori con le caratteristiche legali. Lo studio segnala che le organizzazioni criminali svolgono un ruolo molto importante nel traffico delle falsificazioni “identificando rapidamente i punti deboli” per prendersi gioco della autorita’.
Il problema degli invii per posta
Tra i metodi che utilizzano le mafie per ingannare i servizi doganali, lo studio segnala la crescita degli invii postali per distribuire i prodotti falsificati, Tra tutte le intercettazioni dei prodotti falsificati tra il 2001 e il 2013, il 62% sono stati inviati per posta. Hong Kong, Singapore ed Emirati Arabi Uniti sono segnalati come punti di transito dove i prodotti falsificati sono riconfezionati da grandi contenitori in piccoli per l’invio postale. Per gli autori dello studio, questi invii per posta riflettono “i sempre piu’ ridotti costi degli invii postali e la crescente importanza di Internet nel commercio elettronico e nel commercio internazionale”, anche per i beni falsificati.
Per migliorare l’efficacia della lotta contro il traffico di prodotti falsi, il documento raccomanda di analizzare piu’ in profondita’ il problema dei piccoli invii postali e la lista delle “zone di libero commercio” stabilite da molti Paesi per stimolare il commercio stesso. Queste zone franche, in Paesi di transito, finiscono per trasformarsi in paradisi fiscali fuori dai controlli delle autorita’ doganali, paradisi usati dai trafficanti per “occultare l’origine dei loro carichi”, maneggiare “impunemente” (rietichettare, reimpacchettare o redistribuire) i beni falsificati e far si’ che alcune imprese abbiano un aspetto legale, necessario per “appoggiare le loro operazioni illegali”.
(articolo di Javier Salvatierra, pubblicato sul quotidiano El Pais del 22/06/2017)