Una isola nel cuore della Trinacria immersa nei fichi di india

Anticamente l’isola era nota in greco antico come Φοινικοῦσσα (Phoinikoûssa) e successivamente anche Φοινικώδης (Phoinikṓdēs). Entrambe queste varianti sono composte da una prima parte φοῖνῐξ (phoînix), cioè “porpora o cremisi”, “palma”, “dattero”, e da due desinenze differenti, -εσσᾰ (-essa) e -ώδης (-ṓdēs), che però mantengono entrambe il significato di “caratterizzato da” o “pieno di”.

Il sostantivo ‘phoînix, che in greco antico è generalmente ricondotto al significato di palma nana, assai diffusa in epoca antica ed oggi ancora presente sui promontori dell’isola, giova però sottolineare che il lemma è di per sé foriero di differenti semantiche che rimandano da un lato ai Fenici fino a giungere alla mitologica fenice.

Il toponimo fu poi latinizzato in Phoenīcūsa o Phoenīcussa. Partendo invece dalla variante Phoenicōdes si è giunti poi, attraverso la dissimilazione della nasale, al siciliano, preso in prestito dall’italiano senza riadattamenti grafici o fonetici.

Scoprite di quale Isola stiamo parlando 😉

Intanto vi diciamo che è piena di questi meravigliosi e gustosi frutti.

L’isola è particolarmente amata da molti artisti (sia Italiani che stranieri) che hanno scelto di farla diventare la propria seconda casa.

Ogni due anni l’anima artistica dell’Isola prende forma in una Biennale d’Arte a cui partecipano tutti gli artisti che la amano.

Prendiamo la ben nota wikipedia e leggiamo :

L’O. ficus-indica è nativa del Messico. Da qui, nell’antichità, si diffuse tra le popolazioni del Centro che la coltivavano e commerciavano già ai tempi degli Aztechi, presso i quali era considerata pianta sacra con forti valori simbolici.

Una testimonianza dell’importanza di questa pianta negli scambi commerciali è fornita dal Codice Mendoza. Questo codice include una rappresentazione di tralci di Opuntia insieme ad altri tributi quali pelli di ocelot e di giaguaro.

Il carminio, pregiato colorante naturale per la cui produzione è richiesta la coltivazione dell’Opuntia, è anch’esso elencato tra i beni commerciati dagli Aztechi.

La pianta arrivò nel Vecchio Mondo verosimilmente intorno al 1493, anno del ritorno a Lisbona della spedizione di Cristoforo Colombo.

La prima descrizione dettagliata risale comunque al 1535, ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés nella sua Historia general y natural de las Indias.

Linneo, nel suo Species Plantarum (1753), descrisse due differenti specie: Cactus opuntia e C. ficus-indica. Fu Miller, nel 1768, a definire la specie Opuntia ficus-indica, denominazione tuttora ufficialmente accettata”.

Il fico d’india viene coltivato in molte aree del mondo, in alcune zone per la produzione dei frutti a fini alimentari, in altre per la coltivazione della cocciniglia del carminio,[9] in altre ancora per il foraggio e in alcune zone anche per commercializzare le giovani pale usate come una sorta d’insalata.

Il Messico risulta principale produttore mondiale per quanto riguarda i frutti (circa 50.000-70.000 ettari a seconda della fonte) oltre a circa 10.000 ettari dedicati alla coltivazione di pale a fini alimentari.

Il Perù viene indicato come importante paese di produzione, con circa 30-40.000 ettari soprattutto produzione selvatica per la cocciniglia. La coltivazione avviene nelle valli andine principalmente delle regioni Ayacucho, Huancavelica, Apurímac, Arequipa, Ancash, Lima e Moquegua.

In si coltiva su circa 40.000 ettari prevalentemente per foraggio.

In Cile la superficie è di circa 1.000 ettari.

Tra i principali paesi produttori a livello mondiale e primo a livello europeo è l’Italia, dove la produzione riguarda di fatto esclusivamente il frutto da commercializzare. In Italia vengono prodotti da 750 000 a 900 000 quintali all’anno (periodo 1999-2010)[, prevalentemente nelle provincie di Catania, Caltanissetta e Agrigento.

Infatti, il 90% della superficie coltivata a fico d’India è localizzata in Sicilia (800.000 quintali, 8.000 ettari), il rimanente 10% in Basilicata, Calabria (5.000 quintali, 50 ettari, Puglia (25.000 quintali, 300 ettari) e Sardegna.

In Sicilia, oltre il 70% delle colture si concentrano in 3 aree: la zona collinare di San Cono, il versante sud-orientale delle pendici dell’Etna e la Valle del Belice.

In Tunisia (dove la pianta è chiamata “hindi”) si stima che ci siano sui 600.000 ettari, i quali però solo in piccola parte sono utilizzati a fini commerciali, mentre la maggior parte serve per l’alimentazione animale e contro l’erosione.

Le principali regioni sono governatorati Kairouan, Kasserine (soprattutto presso Thala) e Sidi Bouzid, tra di loro confinanti.

Nei settori (imada) El Messaid, Sayada Nord, Messiouta El Hanachir della delegazione El Alâa nella regione di Kairouan 2.000 ettari, ovvero il 15% del territorio è ricoperto da tale pianta. 1.200 di questi (9% del territorio) sono coltivati, gli altri sono formati da siepi, barriere o da piante presso gli edifici abitati. Sia le piante coltivate che quelle non coltivate sono a disposizione per la raccolta e la trasformazione di frutti, semi, fiori e pale.

I frutti vengono venduti tradizionalmente da metà giugno fino a metà ottobre lungo le strade. Solo negli ultimi anni il frutto ha fatto ingresso anche nella grande distribuzione. Anche grazie agli accordi doganali tra la Tunisia e l’Unione Europea vengono esportati annualmente circa 70-80.000 tonnellate.

La produzione biologica certificata nella regione Kairouan è meno diffusa che nelle regioni Kasserine e Sidi Bouzid (situazione 2015).

In Marocco la produzione avviene su circa 120.000 ettari e coinvolge 23 varietà di Opuntia ficus-indica e 7 di Opuntia megacantha.

In Spagna, dove la pianta viene chiamata “nopal” e “higuera chumba”, agli inizi del XX secolo la produzione aveva ancora una certa importanza. nelle Canarie e in diverse regioni tra le quali prevaleva l’Andalusia Con il passare dei decenni questa pianta ha perso la sua importanza economica nell’agricoltura spagnola: agli inizi degli anni 1950 si contavano ancora 100-300 ettari.

Già negli anni ’70 l’Istituto nazionale di statistica non ha più rilevato il dato perché irrilevante.

L’Opuntia ficus-indica, per la sua capacità di svilupparsi anche in presenza di poca acqua, si rivela una pianta di enormi potenzialità per l’agricoltura e l’alimentazione dei paesi aridi. Ha un notevole valore nutrizionale essendo ricco di minerali, soprattutto calcio e fosforo, oltreché di .

La risorsa alimentare più pregiata è rappresentata dai frutti, chiamati fichi d’India, che oltre ad essere consumati freschi, possono essere utilizzati per la produzione di succhi, liquori, gelatine (in Sicilia p.es. detta mostarda), marmellate, dolcificanti ed altro; ma anche le pale, più propriamente i cladodi, possono essere mangiati freschi, in salamoia, sottoaceto, canditi, sotto forma di confettura. Vengono utilizzati anche come foraggio. Una farina ottenuta dalle bucce dei frutti può essere come ingrediente per la produzione di biscotti.

Se consumato in quantità eccessive può causare occlusione intestinale meccanica dovuta alla formazione di boli di semi nell’intestino crasso. Pertanto questo frutto va mangiato in quantità moderata e accompagnato da pane per impedire ai semi, durante l’assorbimento della parte polpacea, di conglobarsi e formare i “tappi” occlusivi. Per analogo motivo è sconsigliato questo frutto alle persone affette da diverticolosi intestinale. Questo problema è lo sfondo di una poesia di Giuseppe Coniglio, poeta di Pazzano, nel libro A terra mia.

Peculiari della tradizione messicana sono il miel de tuna, uno sciroppo ottenuto dall’ebollizione del succo, il queso de tuna, una pasta dolce ottenuta portando il succo alla solidificazione, la melcocha, una gelatina ricavata dalle mucillagini dei cladodi, ed il colonche una bevanda fermentata a basso tenore alcolico.

In Sicilia si produce tradizionalmente uno sciroppo, ottenuto concentrando la polpa privata dei semi, del tutto simile come consistenza e gusto allo sciroppo d’acero, ed utilizzato nella preparazione di dolci rustici. È utilizzato anche come infuso per un liquore digestivo.

La produzione di cladodi a scopo alimentare è ottenuta da varietà a basso tenore in mucillagini selezionate in Messico.

Le pale del fico d’India (nopales), spinate accuratamente e scottate su piastre arroventate di pietra o di ferro, fanno parte delle abitudini alimentari del Messico, così come di altri paesi latinoamericani. Non è difficile trovarne nei mercati rionali già pronte all’uso o vendute dagli ambulanti per le strade, insieme a crema di fagioli, mais e cipolla.

Il resto leggetevelo su wikipedia 😀 😉

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