Unita’ di misura, La canna dei Calimala

Le origini della parola Calimala sono incerte; si pensa che possa derivare dal latino callis malus, ovvero stradaccia, oppure come sostenne Dino Compagni, dal greco kalos mallos, che significa bella lana. In effetti, le botteghe e i magazzini dei mercanti appartenenti alla corporazione si concentravano quasi tutti in questa antica strada e nella vicina via Calimaruzza, allora molto più stretta ed affollata di gente indaffarata nelle attività commerciali. Secondo Franco Cardini “calimala” deriva da calle maia, cioè la strada maggiore corrispondente all’antico cardo maximus, dove si allineava la maggior parte dei fondachi dediti a questa attività.

I tintori venivano chiamati vagellai, per via del vagello, ossia l’apposita caldaia impiegata durante le operazioni di tintura; il colore che senz’altro veniva più usato era il rosso, con cui si confezionava anche il lucco, la sopravveste lunga fino ai piedi e senza cintura indossata da tutti i magistrati del .

I tessuti che venivano acquistati nelle botteghe venivano tagliati con le forbici, secondo l’unità di misura lineare detta canna di Calimala, una sorta di pertica corrispondente a 4 braccia, ossia 2 metri e 33 centimetri; le canne erano suddivise in unità più piccole, da mezza canna, un quarto ed un ottavo e sottoposte ad una verifica annuale da ispettori della corporazione; lo statuto stesso dell’Arte conteneva precise disposizioni a tutela dai clienti, in base alle quali le pezze dovevano essere distese sul banco della bottega con l’orlo ben in vista, segnate nel punto richiesto e tagliate senza “eccedenze”.

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