Turismo Enoico, Lazio – Doganella di Ninfa: Azienda Biologica di Donato Giangirolami

Visitare il Lazio vuol dire andare a Roma. Pochi turisti si avventurano fuori dal Grande Raccordo Anulare. Figuriamoci se poi si parla di turismo enoico, perché il Lazio non è una regione vinicola nell’immaginario collettivo, tanto che pochi (anche se sempre di più) ristoratori del Lazio (immaginiamo gli altri) hanno in carta vini locali.

Eppure a guardar bene si fanno belle scoperte. Come quella che ho avuto il piacere di toccare con mano, o saggiare con bocca, in un sabato, non troppo freddo, di febbraio. Anzi piuttosto caldo direi.

Siamo a Doganella di Ninfa (proprio vicino a quella che è una delle oasi più incredibili di Italia, il Giardino di Ninfa), nella Azienda Biologica di Donato Giangirolami. In realtà la sede principale sarebbe un’altra ma è qui che si fanno le degustazioni di vini.

Vengo accolto da Laura, la figlia di Donato (il fondatore) e da Tania. Insieme rappresentano l’azienda nelle degustazioni e nella scoperta di una realtà che dal 2009 è presente sul territorio. Non da lunga data ma sufficiente per addomesticare i 40 ettari di vigne e produrre varietà autoctone e internazionali.

L’accoglienza è genuina e piena di voglia di far conoscere il territorio e i prodotti. Una passeggiata tra le vigne è il preludio di quello che avverrà dopo.

Sotto degli alberi ma comunque avvolti dal tepore del sole di febbraio, iniziamo a degustare il primo che in realtà è una bollicina, Nynphe, prodotta da uve Grechetto con metodo ancestrale. Per i non addetti vuol dire che la seconda fermentazione avviene senza aggiunta di zuccheri. Insomma è frutto di un abbattimento della durante la prima fermentazione garantendo così, nella fermentazione in bottiglia, la generazione di anidride carbonica.

Subito apprezzo l’ottimo perlage, la sapidità del Grechetto, l’ottima bocca che lascia dopo la deglutizione. Persistenza e struttura giusta. Sentori non troppi ricchi e se non si cerca la solita crosta di pane, questo prodotto è degno di nota. Insieme ad una mortadella fa egregiamente il suo mestiere.

Arrivano i bianchi, vero cavallo di battaglia dell’azienda. Laura mi confida che suo papà, Donato, ama in maniera sconfinata il Grechetto. Ne ha fatto quasi una ragione di vita. Così è quello che assaggio mentre Tania porta con sé piatti colmi di tante buone cose. Locali!

Il Grechetto, Propizio, ha quel colore giallo paglierino scarico che sembra non attrarre. Che lo rende poco appariscente. Così come i sentori di bianca fresca, fiori bianchi e tanto iodio, non certamente marcati. In bocca dà però il meglio di sé grazie alla sua freschezza e verticalità. La persistenza è buona per un vino del genere, così come la chiusura di bocca.

Bel vino che non riesco ad abbinare immediatamente perché nel piatto ho qualche salume piccante, della pizza, delle olive, del formaggio e della ricotta. Ha bisogno di altro, tipo una mozzarella di bufala: ci starebbe perfettamente.

Arriva poi un vino, Cardito, prodotto con un vitigno autoctono, la Malvasia Puntinata. Nel bicchiere è del tutto simile ad un Grechetto, ha in più sentori più di frutta secca e minerale. Lo assaggio e ne comprendo la verticalità con un accenno di orizzontalità del gusto. Come se volesse sconfinare verso la struttura. Visto il sentore di frutta secca provo a mangiare un pezzo di ricotta condita con miele e nocciole: l’apoteosi. Grandissimo accoppiamento. Non so se voluto o meno, però mi brillano gli occhi.

Assaggio infine il Regius, un interessantissimo blend di Viogner, Sauvignon e Chardonnay. Delicatamente fruttato, avvolgente e caldo quanto basta per sorseggiarlo anche in santa pace sotto un albero. Ottimo con il pesce.

Passiamo quindi ai rossi, anticipati da un piatto di polpette, partendo dal Nero Buono. Siamo sotto Cori dove un vitigno non ubiquitario come il Nero Buono ha trovato casa: altrove stenta, non riesce. Eppure Donato ci ha provato, anche se, i pochi chilometri di distanza non regalano un vino di pari intensità.

Il risultato è comunque un vino che merita di investirci ancora perché, sono certo, i risultati arriveranno. La base di partenza è infatti un bel rubino intenso che in bocca è piacevole, con tannini maturi. Struttura buona e ottima bevibilità.

E’ il turno dello Syrah che in queste zone sembra essere molto gettonato. Nel calice il rosso rubino appare in tutta la sua vivacità. I sentori sono quelli dello Syrah e non manca la nota pepata. Buon corpo e ottima persistenza. Un vino che risulta beverino ma, sono sincero, non mi esalta più di tanto.

Passiamo ai rossi con la punta di diamante della cantina, il Peschio Trentasei, un ben riuscito blend di Cabernet Sauvignon e Petit Verdot che, a differenza degli altri rossi che fanno 10/12 mesi di botte, se ne rimane buonino per 36 mesi. Bellissimo color rubino intenso e corposo. Sentori di frutta rossa quasi in confettura, fiori rossi di campo, note speziate e minerali con un cenno di balsamico. Darebbe il meglio di sé con della carne più succulenta delle polpette (comunque ottime). La pienezza del gusto e la ottima persistenza lascia comunque presagire un ottimo abbinamento.

Finiamo la degustazione con un passito da Grechetto, Apricor. Il colore è un giallo oro intenso. Nel calice gli odori predominanti sono quelli di frutta secca ma fa capolino anche la mineralità. Bel corpo, bella aromaticità. Sembra un normale passito ma all’assaggio dimostra tutta la sua forza grazie ad una freschezza che non ti aspetti. Tania mi propone una fetta di crostata di pesche che lei stessa ha realizzato. La assaggio ed è ottima. Le faccio i complimenti. Quando poi assaggio il passito per abbinarlo alla crostata, ho un sussulto e un sorriso. Perché l’abbinamento è da dieci e lode. La freschezza del passito e gli aromi che porta con sé, si fondono con la dolcezza della crostata (e la acidità delle pesche) regalando sensazioni uniche.

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Alcuni termini utilizzati nell’articolo – Enciclopedia Wikipedia –

.: La località rurale di Doganella di Ninfa è nel territorio comunale di Cisterna di Latina.

.: Il Grechetto, come suggerito dal nome, sia originario dalla Grecia così come tutti gli altri vitigni che portano il nome di Greco: sarebbe stato portato nell’Italia Meridionale dai coloni che a suo tempo popolavano la Magna Grecia.

.: L’etimologia del nome Viognier deriva dal nome celtico vidu che significa “bosco”, lo stesso nome da cui deriva il toponimo savoiardo Vions divenuto Vione nel 1365. I vini con i loro aromi e le note fruttate, accompagnano i cibi speziati anche della cucina thailandese e vietnamita. È possibile che le note floreali di alcuni di questi vini ricordino quelle del sakè, o vino di riso. Per questo motivo, sono consigliati con il sushi e il sashimi.

.: Il Sauvignon (chiamato anche Sauvignon blanc) è un vitigno a bacca bianca, proveniente dalla zona francese di Bordeaux. Il nome deriva dalla parola francese sauvage (“selvaggio”), aggettivo dovuto alle sue origini di pianta autoctona del sud-ovest francese. Una curiosità: Viene utilizzato nella vinoterapia per le sue proprietà calmanti, particolarmente adatto per i massaggi.

.: Le origini del Chardonnay è in Borgogna, precisamente impiantato originariamente dai monaci cistercensi dell’abbazia di Pontigny, da dove si è diffuso progressivamente in tutto il mondo dalla fine del XIX secolo. È utilizzato anche in purezza o in uvaggio per la produzione dello Champagne.

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